playFestival 1.0
martedì 24 marzo ore 22.00
ingresso 5 €
di Mauro Pasqualini, Annalisa Cima (curatrice del movimento scenico)
con Elisa Proietti, Andrea Sorrentino, Daniele Tenze
Borgobonò
A cavallo tra 800 e 900, in Europa e non solo, un gruppo di persone definite dalla storia come anarchici – sotto il cui titolo veniva raggruppato tutto ciò che non era in accordo con lo status quo – si pose il problema di come risolvere la disuguaglianza sociale e migliorare la condizione del proletariato. Tra questi alcuni scelsero la via mediatica attraverso giornali, libri e trattati di filosofia; altri scelsero di attaccare gli sfruttatori del popolo in ciò che gli era più caro: il capitale. Altri le scelsero entrambe. Protagonisti di In ogni caso nessun rimorso sono poliziotti, anarchici, filosofi, prostitute, politici, operai e molti altri ancora. Tutti colpevoli. Tutti innocenti. Tutti vittime. Tutti carnefici.
I personaggi di questo tentano. Tentano di cambiare il mondo e renderlo più equo, tentano di portare l’ordine e rendere la nazione più sicura, tentano di amministrare al meglio la loro azienda o il loro paese, tentano di far crescere al meglio il loro amore, i loro figli o più semplicemente tentano di creare almeno per sé una vita migliore. Ma la vita in quanto vita non offre soluzioni dirette, solo un’inifinità di sfumature e complicazioni.
Ci troviamo di fronte a tematiche estremamente attuali. Si parla di diritti o meglio della loro assenza. In primis del diritto al lavoro, di come la sua assenza porti alla perdita di dignità e di come l’assenza di dignità porti le persone a commettere atti estremi nel tenativo di guadagnarne una. Si parla del desiderio di uno stato giusto che garantisca una vita decente, che dia voce a tutti e agisca nella legalità e nella trasparenza, ma anche del desiderio dello stato stesso e dei suoi funzionari di garantire una sicurezza e una protezione ai suoi cittadini da coloro che spesso, in nome di giustizie sociali, agiscono contro quella stessa società. Ci si chiede cosa scegliere tra “ribellione” e “rivoluzione” e ci si chiede quanto sottile sia il confine tra lotta e terrorismo